Roberto Dané

Roberto Dané

Produttore, La Spezia.

 

“Il fotografo e la città”

 

Ho visto alcune belle fotografie della Spezia appese ai muri di un’antica osteria della città presso la quale mi sono fermato a mangiare, con amici milanesi, la farinata. Per loro era la prima volta, per me era rinnovare un rito adolescenziale. Le fotografie ritraggono alcune vie e piazze così com’erano cinquanta e più anni fa.

C’ era il fascismo e ci sarebbe stata la guerra, eppure quelle fotografie un po’ sovraesposte, sbiancate dal tempo, suggeriscono un mondo ideale, ottocentesco (così come se lo immagina un romantico di oggi).

E allora mi vien da dire, anche per amor di poIemica, che chissà, o|tre il bordo di quelle fotografie alcuni rapinatori impazienti aspettavano che il fotografo finisse il suo noioso Iavoro per continuare il proprio e posso anche dire che i passanti lontani, apparentemente sereni, pasciuti, ricchi non erano per niente così ma guarda caso appartenevano, ovviamente, e questa volta senza poIemica, alIa maggioranza della città operaia, militare e marinara.

La Spezia era tra Ie zone più depresse deII’ ltaIia del dopo guerra. Quelle fotografie non hanno con sé la “memoria delle cose” servono solo alla mia e altrui curiosità per paragonare la città di aflora con quella di oggi.

Anche una fotografia di una barca, scattata da Fregoso nel 1955 o nel I968, non possiede, caro Sergio, Ia memoria di quella barca. Anche qui, se potessimo ritrovare quella barca, potremmo passare un po’ di tempo a paragonare i suoi colori con quelli di oggi e scoprire che sono sbiaditi e alcune parti di vernice complici |’acqua e il sole, sono saltate via, altre il sale e il vento le hanno minutamente crepate e accartocciate-;e se qualcuno si fosse, nel frattempo, occupato di quella barca ridipingendola se ne noterebbe la penosa operazione di ringiovanimento.

Anche qui niente più di pura curiosità.

In verità quella fotografia della barca, ripresa per ricordare le barche? (credo proprio di no, caro Sergio), trasmette, secondo me, I’epoca delle barche. La barca, il gozzo colorato solcante le acque della Liguria orientale era il sogno di tanti che si affacciavano al dopoguerra : memoria luminosa, sognante, inarrivabile. Ma tutto questo c’é nella fotografia di Sergio Fregoso, non nella fotografia della memoria.

A cosa servirebbe una mera componente archivistica della memoria delle cose?

A farci forse idealizzare un mondo che ideale non era? A cosa serve la memoria delle barche se non capisco che anch’io perderò lo smalto, e il sole e la luce e il vento della vita metteranno a nudo il mio legno? Sole e acqua, avvenimenti, sconfitte e vittorie della vita per la barca ma anche per me.

A cosa serve la componente temporale che vive e archivia le cose, gli avvenimenti, Ie sensazioni senza Ia componente trascendentale che quelle cose, quegIi avvenimenti, quelle sensazioni consente di comprendere e permette di trasportare più in alto, tra Ie cose più alte, spirituali? A nulla.

Ma se Ia fotografia della barca apre la mente a un sentimento diverso in ognuno che guarda o se quella fotografia, scatenando la propria potenza, ci rimanda tutti a qualcosa d’altro, a un mondo ricostruito dentro di noi, uguale per tutti ,alIora addio finalmente memoria perché é poesia e chi la fotografia l’ha pensata, preparata, scattata e sviluppata puo, finalmente, chiamarsi artista.

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