APPUNTI

L’immagine è un fatto.

Mi faccio la barba ascoltando Glenn Gould che suona Bach e mi vergogno come un ladro.

Il mio io professionale equivale a un noi.

Faccio un mestiere che traduce memoria.

Nello scarto tra realtà e linguaggio prende forma l’espressività. E qui che la realtà diventa fotografia.

Nella cosa, nel tema c’è la necessità del committente, nei modi della realizzazione c’è l’idea – e il lavoro – dell’autore.

C’è sempre un dialogo, un rapporto tra le cose che tiene conto anche  delle contraddizioni ( spesso nei nostri occhi ), ma tutto vive nel contesto nella sua totalità. In questa totalità la fotografia interviene con il suo statuto ( che non è quello della realtà ), riorganizzando il visibile in una nuova realtà: l’immagine, in cui l’incontro/scontro con la realtà delle cose si fa linguaggio.

Il vero problema è a mio avviso quello che si vede e come lo si vede. La fotografia, anche in questo caso non da risposte, pone domande. E’ il suo mestiere.

Piegare la “realtà” a intenzionalità ( far dire alla realtà ciò  che vogliamo ) è un processo che i pittori, scrittori, i poeti hanno risolto meglio. Forse perché la fotocamera ha un rapporto fisico con il fattuale, l’obiettivo deve sempre avere qualcosa davanti affinchè si formi una figura, e questa figura si posa automaticamente su una superficie sensibile che a seconda delle sue caratteristiche modifica la qualità linguistica del messaggio. Tutt’altra cosa è il verso scritto sul foglio o il segno tracciato sulla tela o l’oggetto sottratto al suo contesto. E’ per questo forse che la sintassi visiva d’una immagine meccanica sia più forte, a volte, dell’intenzione del fotografo.

Devi concentrarti su quello che vedi, non su quello che vorresti vedere. Mi sembra un buon consiglio da dare.

Quando guardo fotografo.

Ci sono immagini che credi ti siano nate negli occhi, da sempre.

Forse sono quelle più intime, strappate ad uno stato di grazia.

Fragili segni  di sensazioni appena sfiorate.

Ci sono immagini che credi di portare negli occhi da sempre.

Forse sono quelle più intime strappate ad uno stato  di grazia.

Fragili segni di sensazioni appena sfiorate.

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